“Voi altri non fate altro che lamentarvi che non ce la fate a stare in questo posto, ma non ce l’avete il coraggio di andarvene via da qua dentro?” disse Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Ma lo avrebbe potuto dire anche Carlo, quel tuo vicino di scrivania dell’agenzia in cui eri prima.
Da quando il cuculo perse il nido ad oggi, si potrebbe pensare che è passata tanta acqua sotto i ponti ma in verità sembrerebbe aver trovato qualcosa a monte.
Parlare di mental health nel 2021 sta diventando più facile, ma non so quanto questo possa essere positivo: dopo un anno chiuso in casa ci sono buone probabilità che anche il Dalai Lama sarebbe corso “da uno bravo”.
Nonostante io non sappia quante ore lavori al giorno una guida spirituale, so esattamente quante ne lavora un freelancer o un qualunque altro lavoratore del mondo della comunicazione: troppe.
Ma come si fa a capire quando staccare, se il proprio lavoro è essere connessi?
Affrontare il burnout è una necessità quanto mai urgente: le pressioni aumentano, le condizioni lavorative peggiorano e il numero dei professionisti che riesce a stare a ritmo diminuisce drasticamente.
Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto questa condizione fra le patologie occupazionali, definendola “sindrome concettualizzata, frutto di uno stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo”. Grazie OMS, per averci dato la colpa di gestione. Un po’ come quella vecchia storia di “si, ma un po’ se lo è cercato”.
Di burnout se ne parla dagli inizi degli anni 70’, quando l’attività sindacale era più frizzante di una bottiglia di Coca-Cola e Mentos e si poteva contare sulle tutele sul posto di lavoro. Forse abbiamo lasciato la Coca-Cola aperta e si è sgasata, così viviamo il lavoro in uno stato di angoscia ed ansia generale.
Non so voi, ma non cenerei mai tranquillo sapendo che il mio capo potrebbe chiamarmi da un momento all’altro per un “velocissimo rework”.
Fonti certe affermano che il limite delle 48 ore lavorative settimanali, straordinari inclusi, abbia una precisa ragione d’essere: impedire che i lavoratori si sentano costantemente in un episodio di The Walking Dead. Il limite è stato definito dall’International Labour Organization nel lontano 1921… Un secolo fa, incredibile vero? Oggi invece si viaggia senza nè scienza nè coscienza sul treno senza soste della produttività.
Se c’è una cosa che l’ILO non aveva sicuramente previsto, nonostante la spagnola del biennio precedente, quella era il COVID-19.
Complice una seconda pandemia globale, l’anno scorso abbiamo tutti aperto le nostre porte di casa ai colleghi: controllando le mail in pigiama, partecipando alle riunioni in terrazzo. La tecnologia ci ha permesso di trasformare la cucina in una perfetta sala meeting. Sì, ma a che prezzo?
Il progresso tecnologico che invade i nostri luoghi privati non guarda in faccia a nessuno e non ringrazia. Prende tutto il nostro tempo, spazza via la nostra vita, e rende i mal di pancia da stress parte del nostro quotidiano.
Supporta questa tesi il recente sondaggio di Blind (app di community anonima per professionisti): emerge che il 61% dei genitori ha lavorato in media tre ore in più al giorno per completare tutte le attività. Lo scope creep ci sta leggermente sfuggendo di mano.
Se riconoscere di soffrire di burnout è il primo passo per uscirne, che dire di quel 70% di persone che nasconde attivamente ad amici e colleghi il proprio disagio per paura della stigmatizzazione che potrebbe ricevere? Siamo qui a darvi una spintarella, forse.
Frasi come “Non ce la fa, non regge” sono il frutto di una cultura machista figlia di un secolo in cui lavorare tanto era lavorare bene. Potremmo iniziare a farne a meno.
A volte mi capita di parlare tra me e me ed augurare a tutte le persone che pronunciano frasi come “devi saper nuotare con gli squali” di sperimentare in senso meno figurato ciò che dicono. Poi me ne pento, eh. Non si augura mai il male a nessuno, credo.
Ora è il momento di unirsi tutti per non diventare davvero matti. Se notiamo una nostra difficoltà, dobbiamo cercare di essere abbastanza forti da chiedere aiuto, se sentiamo qualcuno che ha bisogno di un aiuto, dobbiamo essere abbastanza forti da fermarci ad ascoltarlo.
Meglio tessere una rete di mutuo soccorso che giocare a freccette con la foto del capo, no?
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