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Comodo decantare i benefici del progresso tecnologico quando si è tra quelli che hanno la fortuna di goderne. Spendiamo così tante energie nel rendere internet un magnifico giardino all’inglese che ci dimentichiamo totalmente di creare un ingresso accessibile.
Nel 2021 sono ancora troppe le persone offline che vivono all’ombra di un presente iper-digitalizzato: consegne in giornata, food delivery, car sharing, giornali online, smart working e chi più ne ha più ne metta.
Sarà mica il caso di voltarsi per controllare di non esserci perso nessuno per strada? L’abbiamo chiesto ad alcuni timidoni digitali che si nascondono sotto i nickname di: Stregatto, Pinco Panco e Le Ostrichette.

Lo Stregatto

Quando abbiamo pensato di scrivere di esclusione digitale ho deciso di mettere alla prova la mia tolleranza ad una connessione più lenta di 100Mbps: ho comprato un biglietto del treno per provare lo smart working da casa dei miei, in provincia. Spoiler: nel cuore verde della provincia viterbese la connessione è sicuramente meno buona della cucina di mia madre. Ma andiamo con ordine.

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Salgo sul treno senza guardarmi indietro. “Andrà bene”, mi dico. Ho 70GB di rete dati sullo smartphone e non ho paura di usarli. Cosa può andare storto? Fino alla stazione di Bologna leggo alcune mail e ascolto il mio podcast preferito mentre scarico in background la terza stagione di Boris. Quasi quasi mi faccio anche una call su Meet, ma non voglio strafare.
Il treno riparte, accompagnato da una sinfonia di cigolii inquietanti, e si tuffa nel vuoto di una galleria. Da lì il buio. Il podcast si interrompe. I messaggi non vengono inviati. Sono tagliato fuori. Completamente. Ed è in quella condizione di sospensione che penso: “è arrivata l’ora del digital detox”.

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Arrivato a destinazione assolvo tutti i convenevoli e i saluti di rito per chiudermi poi nell’eremo della mia camera e lavorare. Non vi descriverò le conversazioni di lavoro avvenute nei giorni seguenti, però posso dirvi che ricordavano molto quelle dell’allunaggio nel ’69: “Mi vedi? Io ti sento.
Aspetta provo a rientrare”. Inviare un file di qualche Mega aveva scalzato rapidamente le interrogazioni di greco dalla top five dei miei incubi peggiori. Attese interminabili per arrivare al 99% e dover fare un nuovo tentativo.

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Il 2020, e un po’ anche suo fratello minore 2021, ci hanno lasciato in eredità alcune parole di cui pochi avevano già sentito parlare: smart working, DAD, digital divide.
È servita una pandemia globale per insegnarci che internet non serviva solo a scaricare CandyCrush o a stalkerizzare i nostri ex su Facebook.
Attraverso quel sottile filo di fibra ottica abbiamo scoperto che poteva passare ogni azione riconducibile ad una sorta di quotidianità: l’aperitivo con gli amici, il meeting di lavoro, il corso di Zumba, la discussione della tesi.
Ma alcuni di noi, improvvisamente, hanno vissuto fermi in una galleria, su un InterCity senza Wi-Fi; o più semplicemente sul divano di casa loro in provincia, probabilmente a Sud, isolati dal resto del mondo.

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Tornato a Milano ho subito ripreso il controllo sulla mia vita: mail, appuntamenti, notifiche. Tutto in un palmo di mano. Peccato però per quel clima un po’ più gentile e per le mie patetiche corsette in mezzo al verde sotto il Po senza la paura di essere investiti da un monopattino elettrico o respirare l’equivalente del proprio peso in monossido di carbonio.
La retorica del “nord vs. sud” è, sì, ricca di stereotipi e luoghi comuni vecchi come una scarpa, eppure ancora oggi veniamo chiamati a scegliere tra una connessione internet più veloce e una qualità della vita più sana per il nostro benessere psicofisico.
La domanda si manifesta a sempre più persone così come aumenta l’urgenza di trovare un equilibrio fra questi due poli: sarebbe bello vivere in un Paese garante di pari opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente dal parallelo geografico in cui risiedono.

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Eliminare il divario digitale non è sicuramente qualcosa che può essere fatto con un colpo di spugna, ma la fuga di moltissimi giovani verso casa e la crescente frequenza di disturbi d’ansia nei cittadini delle grandi città dovrebbe allertare i governi sulle prossime mosse da compiere. Io, ad esempio, oggi inizierei mettendo il Wi-Fi nelle gallerie.

Pinco Panco

Avere delle competenze digitali nel 2021 è diventato fondamentale, non credo sia solo una mia impressione. Da quanto Internet è diventato la piazza dove trovare informazioni, lavorare, ordinare del cibo, studiare, è diventato colonna portante delle nostre vite. Ma vi capita mai di chiedervi come fanno a vivere, oggi, le persone che non hanno una connessione internet? A me sembra strano persino pensare che ci siano.

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Sostengo che l’avere accesso all’informazione digitale sia un diritto, come riconosce l’ONU dal 2011 categorizzandolo tra i diritti civili. In quest’ultimo anno è stato fondamentale: ha permesso di mantenere stretti i rapporti personali, supportare le persone più sole e lo Stato ad aiutare i bisognosi mantenendo una distanza superiore ad 1 metro.
Tutti questi pro però non devono far nascondere la polvere sotto il tappeto: il magico mondo di internet presenta non poche insidie, dietro ogni URL si nascondono fake news, banner e OFFERTE INCREDIBILI! SEI IL MILIONESIMO VISITATORE DI QUESTO SITO!!! Ecco, non farti fregare. Se il mondo era un brutto posto, quello digitale lo mangia a colazione.

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Purtroppo ciò che si rischia mettendo uno strumento potentissimo nelle mani di chiunque è generare un’esplosione di disinformazione e ignoranza. Ne deriva che ciascun utente viene esposto a una pericolosa dose di notizie, alcune al limite del ridicolo. Lercio ci ha costruito una fortuna sopra, per dire.
Questo fenomeno dovrebbe allertare le istituzioni sulla necessità di una formazione in campo digitale, o più semplicemente sulla comprensione di un testo e sulla ricerca di fonti più affidabili del Fatto Quotidaino.

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Avere un’adeguata preparazione digitale, oltre che una buon senso critico, già da sola sarebbe sufficiente a risolvere i numerosi problemi che affliggono il nostro Paese, come il digital divide. Immagina una serie TV i cui tre protagonisti principali sono un giovane millennial con la FOMO, Giuseppe di Barletta e tua nonna Pina. Abbiamo quindi una frattura scomposta tra chi naviga velocemente, chi con estreme difficoltà e chi al solo pensiero ha il mal di mare. Regia, vai con lo spiegone.
L’espressione “digital divide” nasce il 29 maggio del ‘96 sotto la presidenza Clinton. Al Gore, allora Vice Presidente, individua tre tipologie di divario: globale, sociale e democratico. Il primo dettato dal divario tecnologico tra paesi più e meno sviluppati, il secondo legato alla cultura del Paese e il terzo dovuto alla mancanza di mezzi o competenze. Direi che questi ultimi due continuano imperterriti la loro gara italiana.

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Secondo il rapporto DESI 2020, il 58% degli italiani non possiede neanche le competenze digitali necessarie ad un basilare e rudimentale utilizzo del Web. Se dunque la matematica non è un’opinione, parliamo di 35 milioni di persone tra cui 11 sono quelle senza accesso ad internet e le restanti 15 con tutta probabilità si informano su Ilmessaggio.it.
Questi dati sono drammatici considerando che il resto del mondo si muove verso una digitalizzazione totalizzante, che tocca il mondo del lavoro così come quello della scuola.
Dalla città dei cavoletti è nata un’iniziativa molto interessante chiamata Next Generation Plan. Si tratta di un piano europeo per la promozione e lo sviluppo di nuove tecnologie a sostegno di piccole attività economiche e dei cittadini stessi. Lo scopo è quello di costruire un sistema educativo che coinvolga sia le generazioni più giovani che quelle più mature, accompagnandole verso un futuro più digitalizzato e inclusivo.
Anche gli studenti di Economia dell’università Bocconi hanno aperto un Think tank che mette sul tavolo tutto ciò che concerne la transizione digitale della pubblica amministrazione, il tasso produttivo del paese e l’istruzione.

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È abbastanza chiaro che il problema dell’inclusione digitale, soprattutto in una società sempre più simile ad un cosplay di Matrix, sia qualcosa di tangibile. L’accesso ad internet è diventata una delle armi più potenti contro l’ineguaglianza, ha accelerato il processo di sviluppo di intere nazioni attraverso lo scambio di informazione e ogni giorno facilita la vita di ciascuno di noi.
Esistono moltissimi progetti, ancora allo stato embrionale, che hanno come obiettivo quello di portare la connessione dove non c’è. Tuttavia sta a noi essere avidi di URL, affamati di cookies e abbastanza coraggiosi da mettere in discussione noi stessi e le nostre stesse opinioni. L’accesso ad internet diviene fondamentale per il progresso, e per la costruzione stessa di una società democratica.

Le Ostrichette

La società nel 2021 sembra non poter vivere senza internet: guardiamoci attorno. C’è chi lo usa per sentirsi con gli amici, chi per cercare la ricetta della pasta in bianco, chi ha dimenticato l’anniversario e si fa arrivare a casa un regalo last-minute, in tantissimi lo usano per lavorare (No, non solo Chiara Ferragni).
Se è vero che viviamo in una società estremamente digitalizzata, e che alcune professioni o servizi orbitano attorno ad internet, è vero anche che l’accesso alla rete può essere discriminatorio.

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Senza che ce ne accorgessimo tante persone sono state tagliate fuori: sono rimaste per mesi senza la possibilità di acquistare cibo se non dopo lunghissime code al supermercato, potendo contare unicamente sulla televisione e sui libri presenti in casa per la propria formazione e intrattenimento. YouTube e Coursera mica li passano sul Televideo.
Pensa che per ogni volta in cui tu aprivi Google Meet per fare aperitivo da casa parlando pure di quanta noia ti desse, c’era qualcuno alle prese con un bel solitario sul tavolo della cucina.

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Internet è nato con l’obiettivo di mettere in connessione persone lontane ma col senno di poi siete sicuri che non sia stato raggiunto solo parzialmente?
Alcune persone hanno sviluppato nei confronti del web un rapporto di simbiosi: chiedono a Siri, Alexa o Google le cose più semplici. “iI McDonald’s più vicino si trova a 500 metri da te”; “oggi a Milano il cielo è sereno e la temperatura è di 14°C”. Domande alle quali si trovava risposta con una passeggiata di 15 minuti, prendendo un po’ di aria fresca. Altre persone, davanti ad un computer spento non ancora comprendono bene come potersi rapportare, dove accenderlo, come cercare anche l’informazione più semplice.

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I governi e le istituzioni hanno sicuramente la responsabilità di rispondere a questa problematica e porvi rimedio nel minor tempo possibile ma intanto, per ingannare il tempo, ognuno di noi potrebbe impegnarsi per rendere la transizione più veloce condividendo strumenti e conoscenze con coloro che non sono ancora esperti.

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