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Appropriarsi del nome “creatività”, diciamocelo, è stata una furbata.
Questo concetto è collegato a quello di arte, di fantasia, di immaginazione, di invenzioni. Lo si immagina colorato e sorridente, vivido e pulsante.
Che dire? Ce lo meritiamo, un nome così: siamo abituati a condire i concetti, a plasmarli con forme più belle. E poi siamo brillanti, dobbiamo esserlo.

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Sappiamo che, nel business, la creatività è solo il mezzo; mentre i numeri, i KPI, l’EBIT sono il vero fine.
Eppure, questo equilibrio così variopinto ci permette di restare a cavallo tra la nostra versione adulta e quella bambina.
Stare in pubblicità ci consente di continuare a fantasticare un po’, di far ridere ed emozionare chi guarda il nostro lavoro, di fare gli artisti non a tempo perso.
Eppure… (perchè c’è sempre un eppure)
Abbiamo notato che nell’industry ci sono due modi di fare le cose: o le fai di fretta e con pressione, o non le fai.
Questo ha scottato molti, noi compresi.

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In questa scelta obbligata vediamo un problema per le persone e, di conseguenza, un problema anche per l’intero mondo della pubblicità.
– Orari interminabili
– Ritmi iper frenetici
– Straordinari non pagati
– Weekend “in agenzia”
– Richiesta di essere “always on”
Il risultato, ormai trito e ritrito, è che c’è qualcuno che finisce per stare male, psicologicamente, o per scappare via, nonostante il talento e la voglia. “Voglio uscire dal giro delle agenzie, cercare qualcosa di più umano”.

Me lo ha scritto un’ex collega qualche giorno fa. Non so se ci crederete, ma avevo già sentito qualcosa di simile anche da altri.

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In Odd Socks Studio ci stiamo davvero sforzando per provare a fare qualcosa che non sia “come dappertutto”. Si, saremo anche naif, ma vogliamo capire se tutti i “colleghi” lavorano nelle stesse condizioni, con lo stesso stato d’animo.


Ci siamo chiesti: ma “tutto il mondo è paese”? C’è un modo diverso di fare le cose?
Allora, abbiamo pensato di creare “It’s Ok Not To Be Ok, Creativity!”.
 È la cosa più semplice del mondo: una survey da pochi minuti, che ti chiede come stai a lavoro. Al termine, avrai accesso ai risultati anonimi (con ore lavorate, stipendio, soddisfazione) di tanti altri pubblicitari, in Italia e non solo. Oltre a toglierti un pizzico di curiosità, questo tool potrebbe servire per sviluppare i presupposti per attivare una conversazione pubblica legata ai difetti dell’industria e ai suoi problemi di mental health.

Iniziamo a parlarne: è il primo modo per cambiare le cose.