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Era il 2013 e avevo poco più di vent’anni. Mentre in America Obama si insediava per la seconda volta alla Casa Bianca, in Inghilterra nasceva Baby George, e Nelson Mandela in Sud Africa regalava i suoi ultimi respiri al mondo, io portavo il mio cuore e poche cose in una valigia diretta in Spagna per iniziare l’anno di Erasmus. Nelle librerie italiane, lo stesso anno, usciva il libro “Per dieci minuti”, di Chiara Gamberale.
Cinque anni più tardi Chiara avrebbe pubblicato la favola “Qualcosa”, e sarebbe diventata una delle mie scrittrici contemporanee preferite per il semplice merito di aver saputo comprendermi a fondo, scrivendo di me senza avermi mai conosciuta.
Anche “Per dieci minuti” ha avuto un ruolo importante nella mia crescita: mi ha insegnato l’arte di intrattenermi durante le attese e da lì in poi, il tempo passato ad aspettare cose che non sono mai arrivate è stato lo stesso in cui mi sono costruita e riscoperta.

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Ho trovato la chiave per imparare a far convivere la voglia di darmi agli altri con la necessità di sopravvivenza, di guardarmi allo specchio sorridendo con stima.
Di cosa parla “Per dieci minuti”? “Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Dieci minuti per fare una cosa nuova, mai fatta prima. Per smettere di avere paura. E tornare a vivere.” – Recita il retro del libro – “Tutto quello con cui Chiara era abituata a identificare la sua vita non esiste più. Perché a volte capita.
Che il tuo compagno di sempre ti abbandoni. Che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto. Che il tuo lavoro venga affidato a un altro. Cosa si fa, allora? Rudolf Steiner non ha dubbi: si gioca.”

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E allora Chiara gioca, e si racconta. E per un mese intero, ogni giorno, per almeno dieci minuti decide di fare qualcosa mai fatto prima. E intrattenendosi si (ri)scopre e trova una strada per ricostruire. Un libro che parla di cambiamento, di scoperta, di tempo per sé stessi.
In dieci minuti si possono fare tantissime cose: decidere di lasciare il proprio lavoro, iscriversi a una nuova università, comprare un biglietto di sola andata verso un posto mai visto o verso il posto che chiamiamo casa, andare a trovare i vicini per la prima volta, ridere di cuore, leggere 10 pagine del dizionario e sentirsi un po’ buffi, sperimentare una nuova ricetta, fare una passeggiata, dire ti amo per la prima volta, seguire una lezione di spagnolo, chiamare la nonna, non essere multitasking, dimenticare il telefono.

Ma se i nostri 10 minuti in più smettessero d’un tratto di essere solo nostri?

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Ho una teoria: il mondo, secondo me, è pieno zeppo di ladri di minuti. Sono lì, in attesa che tu riesca a ritagliarti del tempo per non fare niente o dedicarti a ciò che più ti piace e non appena ci sei riuscito ecco che spunta la fatidica frase “Puoi farlo? Dai, ci metti solo 10 minuti”. E qui bisogna sapersi difendere.
Se una volta rischiavamo di sentirla quasi solo nel nostro ambiente lavorativo, dal 2020 questa frase è diventata come un incubo di notte. I ladri agiscono a cielo aperto.

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I nostri dieci minuti sono stati riempiti da altri: lavorare da casa ci è costato da 1 a 3 ore in più (in media 120 minuti!) al giorno, momenti rubati al nostro tempo personale e che nessuno ci restituirà.
Oggi il 69% dei lavoratori, due ogni tre, soffre di burnout, una sindrome riconosciuta solo due anni fa, che consiste in uno stato di esaurimento emotivo fisico e mentale legato allo stress cronico da lavoro. Dal 2020 al 2021 questo numero è cresciuto di circa il 20%.
I primi sintomi sono insonnia, mal di testa, mal di stomaco, difficoltà nel recuperare le energie con il riposo.
Con il passare del tempo si avverte il classico senso di sentirsi “svuotati” e poveri di energie, si inizia ad avere scarso interesse per le necessità legate al lavoro, e sensazioni di inadeguatezza personale. L’autostima si abbassa e con lei diminuiscono i momenti che vogliamo passare con noi stessi.
Fornire delle deadline irrispettabili o troppo strette, in alcune persone può comportare un vortice di sofferenza emotiva. Può spingerle a lavorare fino a notte fonda, a saltare le pause pranzo, ad accettare di lavorare non pagati nel weekend per non deludere chi “ci sta dando fiducia” e, di rimbalzo, anche per non deludere noi stessi.

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Io, nei miei dieci minuti, ho voluto parlarvi dell’importanza del tempo e di quanto dieci minuti ci possano cambiare la vita ma starà a ciascuno di noi decidere di cosa riempirli e soprattutto, quanti di questi dieci minuti dedicare a noi stessi e quanti alle richieste di altri. Il mio consiglio? Siate più gelosi del vostro tempo.

«Pe’ fa’ ‘e cose bone ce vo’ tiempo», dice la marca di pasta Rummo. E forse dovremmo dirlo tutti noi.

Fonti:

https://www.humanitasalute.it/salute-a-z/92963-cose-e-come-si-manifesta-la-sindrome-di-burnout/

https://www.grupposandonato.it/news/2021/febbraio/burnout-smartworking-cos-e

https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/per-dieci-minuti/