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Per anni e anni ho avuto una sola missione: combattere per una vita a compartimenti stagni.
Il mio segno zodiacale è lo Scorpione e di questo a tanti, come a me, non fregherà un cazzo.
Una cosa che però mi ha sempre fatto sorridere di chi ama l’Oroscopo e di chi evidentemente lo ama così tanto da scriverlo:  l’ossessivo impegno impiegato nel sottolineare quanto lo Scorpione sia un po’ troppo di tutto e faccia tutto un po’ troppo.

Lo Scorpione ama troppo, dicono. Piange troppo, ride troppo. Si impegna troppo nelle cose che fa.

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Io mentre parto per un weekend fuori porta e cerco di non esagerare con i bagagli.
Sarà sicuramente perché a sparare a caso ogni tanto ci si prende, ma questo troppo con il quale si usa dipingere lo Scorpione pare dipinga perfettamente anche me.
Questa caratteristica dell’esagerazione, chiaramente la mia caratteristica principale, mi ha sempre spinto e frenato allo stesso tempo: ho amato fino a finire in ospedale, ho pianto fino a finire in ospedale, ho fatto sport fino a finire in ospedale, ho mangiato fino a finire all’ospedale.. alla fine ho alzato bandiera bianca, ed oggi ci lavoro anche, in un ospedale.
Insomma, questo mio essere “troppo” ha condizionato pesantemente le mie scelte e la mia vita tutta. Eh sì, perché quando fai troppo qualcosa, finisci per dimenticarne molte altre.
Ogni volta la stessa storia: un’isola andava giù – tutte le isole andavano giù. 
Questo tran tran si sarebbe potuto anche accettare o considerare normale, se non fosse che accadeva con la stessa frequenza con la quale il mio cane Pez abbaia al postino.
Così ho architettato il piano dei compartimenti stagni: pensavo che se fossi riuscita ad isolare i compartimenti della mia vita, il virus del “troppo” non li avrebbe infettati o quanto meno non li avrebbe infettati tutti assieme.

Ho isolato, isolato, isolato.
Ho stretto il nastro isolante in una morsa talmente forte che, alla fine, non riusciva neanche più a farmi sentire il battito del cuore. Così l’ho mollata, ovviamente tutta e tutta insieme.

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Le mie papere da bagno, mentre tengono le distanze durante il processo di progressivo isolamento.
Nell’esatto momento in cui ho mollato la presa sono riuscita a vedere le mie isole riprendere colore in una sinfonia sincronizzata: sono riuscita a vedere il quadro generale. Ed ho capito che l’avrei voluto vedere per tutta la mia vita.
Accogliendo la complessità che mi caratterizza, accettando il rischio di veder crollare tutto, non è crollato più niente.

Questa è la caratteristica dell’essere un Art Director che mi affascina, mi fa sognare, e più di ogni altra cosa mi fa sentire libera: la possibilità di accogliere e coordinare una pluralità infinita di arti, stili, professionisti, che tutti in maniera coreutica contribuiscono a rendere la “Bigger picture” la migliore che possa esistere.