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Deadline vuol dire – letteralmente – linea della morte. Ho sbirciato il Cambridge Dictionary, che spiega per bene il significato delle parole, oltre a suonare anche molto “intellettuale”. Il prestigioso dizionario della prestigiosa università britannica, oltre a segnalarmi che per deadline si intende “a time or day by which something must be done”, contestualizza il lemma nelle seguenti frasi:
There’s no way I can meet that deadline. (diapositiva)
We’re working to a tight deadline (con tanto di specifica tra parentesi: = we do not have much time to finish the work).
e, last but not least, la terza voce dell’elenco puntato recita:
I’m afraid you’ve missed the deadline – the deadline for applications was 30 May.

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Insomma, una disfatta! Ogni esempio mi suggerisce obiettivi non raggiunti, frustrazione, malcontento, muscoli tesi.
Questa “deadline” sembra qualcosa di brutto, una parolaccia da scrivere con gli asterischi. D******e andrebbe scritto cosi, c***o.
Eppure, è un tassello fondamentale della convivenza tra esseri umani. Darci scadenze ci serve per organizzarci, per sincronizzare gli orologi, per lavorare parallelamente.
Immaginatevi una vita senza tempistiche precise e condivise:
  • la metro che termina le corse quando le pare; (te, nel frattempo)
  • la batteria del cellulare dura a volte 24 ore, a volte 2. (te, nel frattempo)
  • la pasta talvolta troppo cotta dopo 14 minuti, talvolta al dente dopo 16. (te, subito dopo ↓)

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Una vita senza stime è una vita senza punti di riferimento.

A questo punto mi viene spontaneo farmi una domanda: se quando le deadline ci sono c’è un problema, e quando le deadline non ci sono c’è un problema, dove sta il problema?

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Dopo anni di lavoro, dopo aver rispettato deadline ed essere impazzito per non bucarne altre, il mio responso è che queste non possono mancare. Spesso siamo dipendenti dal lavoro di qualcun altro e sentiamo il bisogno di organizzare il nostro. Non solo, abbiamo anche il bisogno di poter dare fiducia per non sentire le spalle troppo pesanti.
Ma allora, perché la connotazione è cosi negativa?
Ripartiamo dalla base: come si stabilisce una deadline?
Inizio: Si inquadra quello che bisogna fare.
Svolgimento: Se ne stabilisce il flusso, idealmente confrontandosi con chi è coinvolto nel processo, e si stimano le tempistiche necessarie a portare a compimento tutti i task.
Fine: Si condivide la deadline con tutte le parti, affinché siano allineate. È un processo in cui l’attenzione viene posta nei confronti di chi deve rispettare la deadline, che deve essere responsabile e attento e…
Ma, guardando anche l’altro lato della medaglia, nel nostro lavoro serve sicuramente anche fiducia in chi queste deadline le dà, in chi fa queste stime, in chi scandisce matematicamente le vite degli altri.
Nella mia esperienza, talvolta queste stime non tengono conto di imprevisti, lavori già attivi o della possibilità di approfondire. Altre volte, queste vengono contratte volontariamente per assicurarsi di “portarsi a casa il risultato” e per evitare di deludere le aspettative del cliente. Insomma, per paura.

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Quando il processo è intriso d’ansia, tende a omettere il capitale umano dall’equazione.
Fornire delle deadline irrispettabili o troppo strette, in alcune persone può comportare un vortice di sofferenza emotiva. Può spingerle a lavorare fino a notte fonda, a saltare le pause pranzo, ad accettare di lavorare non pagati nel weekend per non deludere chi “ci sta dando fiducia” e, di rimbalzo, anche per non deludere noi stessi.
“Pe’ fa’ ‘e cose bone ce vo’ tiempo”, cita il noto filosofo Pasta Rummo nella sua confezione, e stimo che almeno nel 90% dei casi, questa sia una sacrosanta verità.

Non è facile, ma impegniamoci a togliere la paura dall’equazione.